Cinema

Gli abbracci spezzati

Almodovar ci regala una riflessione personale sul suo modo di fare cinema: riconosciamo Rossellini, Fritz Lang, Hitchcock e Louis Malle, immersi nei colori sgargianti con i quali il regista gioca il suo tocco personale

  • 28 aprile, 08:22
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Di: Roberta Nicolò

In onda su RSI LA1 domenica 28 aprile in terza serata

Gli abbracci spezzati, film del 2009 del grande regista Pedro Almodóvar, è una sequenza di cerchi concentrici che indugia più sulla condizione della sua creatività spezzata che non su quegli abbracci che il titolo ci vuole suggerire. La stratificazione dei rapporti tra i personaggi si perde in una cornice di estetica narrativa.

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Nautilus, RSI LA1 11.01.1989, 21:55

Il film parla di Mateo Blanco, ex regista non vedente che ha deciso di tagliare i ponti con il passato, cambiandosi perfino il nome in Harry Caine. Unico collante tra ieri e oggi è il rapporto con la sua produttrice Judit e con Diego, il figlio di lei. La donna conosce perfettamente il tragico triangolo che ha visto coinvolto Mateo, il ricco Ernesto Martel e l’affascinante Lena. Un gioco di gelosie che ha portato Mateo a diventare cieco e Lena a perdere la vita. Mateo, scosso dal ricordo del passato racconta a Diego tutta la storia.

Partendo dal protagonista, Mateo Blanco (Lluís Homar), fino a Lena (Penélope Cruz), la donna tanto amata e morta nello stesso incidente, quello che manca è la forza della passione intima alla quale Almodóvar ci aveva così bene abituati. Una passione fatta di minuzie psicologiche e moti di rigurgito emotivo, come in Carne trémula, Donne sull’orlo di una crisi di nervi o Tutto su mia madre.

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RSI Archivi 13.08.1993, 18:53

Con gli abbracci spezzati, invece, siamo di fronte ad una riflessione personale del regista sul suo fare cinema. Ad una citazione nella citazione che ci rimanda a un linguaggio quasi gergale di immagini rubate. Riconosciamo Rossellini, Fritz Lang, Hitchcock e Louis Malle, immersi nei colori sgargianti con i quali il regista gioca il suo tocco personale. Sequenze tecnicamente perfette, quadri equilibrati, attori resi icone nelle icone. Un film fatto più per ricordare il passato che per regalare qualcosa di nuovo.

Un rincorrere i ricordi che Almodóvar affida a Mateo, come a voler esorcizzare così quel sentimento di stanchezza espressiva che si coglie tra le trame di questo film.

La metafora della cecità obbliga il protagonista a guardare in dietro per vedere il futuro, così come le citazioni cinefile servono al regista per costruire un film che lo traghetti fuori dalla palude dell’immobilità.

Mancano gli abbracci caldi e struggenti tra film e spettatore, quegli abbracci che scuotono le budella e la carne per far sì che una storia resti legata alle trame della nostra pelle anche quando i titoli di coda spezzano l’illusione.

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