La lente del “c’era una volta”

È ottobre 2017 quando il sito de La Repubblica dà il via a quello che, allora, era un esperimento: raccontare (e indagare su) un fatto di cronaca giudiziaria attraverso un podcast. Nel giro di tre mesi escono così le sette puntate che compongono “Veleno”, la serie audio che racconta quella che ora è conosciuta come la storia dei “diavoli della bassa modenese”. Gli autori: Pablo Trincia e Alessia Rafanelli.

Chi osserva quell’evento dal 2024 non ci vede nulla di speciale: si tratta di un podcast true crime apparentemente come tanti altri. Ma all’epoca è un evento di grande portata: in Italia di podcast si parlava già dai suoi inizi, intorno al 2005, ma per molti anni era rimasto un medium apprezzato da un piccolo gruppo di persone e veniva prevalentemente utilizzato dalle radio per distribuire in differita programmi già mandati in onda. “Veleno” segna un punto di svolta: pubblicato da una grande testata dopo tre anni di lavoro, è il primo podcast di grande successo in Italia.

Giornalista nato in Germania e poi laureatosi a Londra, Pablo Trincia era incuriosito dalle potenzialità che questo nuovo medium aveva già dimostrato in giro per il mondo. Nei paesi anglofoni, in particolare, aveva avuto un successo incredibile “Serial”, il podcast true crime che nel 2014 aveva praticamente dato il via a un nuovo genere. Trincia si ispira direttamente ed esplicitamente a “Serial” ottenendo, su scala italiana, lo stesso clamoroso risultato: “Veleno” rimarrà in cima alle classifiche d’ascolto per anni.

Gli ingredienti del successo sono molteplici. Innanzitutto, la storia: la vicenda, che ruota intorno ai (presunti) fatti di cronaca nera avvenuti tra il 1997 e il 1998 tra Mirandola e Massa Finalese, aveva un grande potenziale. Da questi erano nati cinque processi giudiziari condotti in modo decisamente problematico, che avevano dato spazio a una serie di inquietanti teorie e accuse dalla veridicità dubbia. Riti satanici, omicidi e pedofilia nella cornice di paeselli di provincia in mezzo ai campi erano elementi che già da soli avrebbero attirato l’attenzione del pubblico, ma è la narrazione e lo sguardo inquisitorio e insieme empatico di Trincia che tiene tutto insieme e che decreta il successo di “Veleno”. Trattare la cronaca come se fosse una storia – pur mantenendo il rigore giornalistico alla base – permette al pubblico di entrare nella vicenda come in una serie televisiva.

E lo stesso si può dire degli altri suoi podcast che nascono negli anni seguenti e che, complice l’epoca d’oro del podcasting, attraggono a sé quantità di ascoltatori sempre maggiori. Gli ultimi, in ordine di tempo, parlano rispettivamente dell’omicidio di Elisa Claps (un altro fatto di cronaca nera dai contorni giudiziari tanto fumosi quanto quelli di “Veleno”) e di Hassan, l’attentatore adolescente che, nel 1985, fece esplodere una bomba nella sede di British Airways a Roma.

Ma il successo dei prodotti di Trincia, per quanto clamoroso, non è nulla di nuovo: è un’ulteriore prova del fascino che le storie raccontate oralmente esercitano sugli esseri umani. Dai rapsodi della Grecia antica che recitavano l’Iliade e l’Odissea, ai poemi cavallereschi raccontati nelle corti italiane del Rinascimento, fino ad arrivare ai podcast, siamo sempre pronti a sederci, prenderci del tempo e ascoltare qualcuno che ci racconti una storia.

In occasione della sua conferenza a Lugano per BancaStato il 16 aprile, Camilla Luzzani ha intervistato Pablo Trincia e gli ha chiesto di svelare qualche retroscena dei suoi prodotti e del suo modo di approcciare soggetti complessi.