Musica rap

“Illmatic”, un classico dritto dritto dalla strada

Uscito trent’anni fa, il primo disco di Nas impose subito il rapper newyorkese come uno dei migliori della sua generazione, e non solo

  • 19 aprile, 08:00
  • 25 aprile, 08:39

Illmatic a Represent

RSI Musica 19.04.2024, 08:00

  • Nas (IMAGO/Everett Collection)
Di: Andrea Rigazzi

In quel 1994, la porta d’accesso a “Illmatic” per me fu “It Ain’t Hard to Tell”. Di formazione musicale rock, in quel periodo stavo avvicinandomi al rap tramite Beastie Boys, Cypress Hill e House of Pain. Quel pezzo mi acchiappò subito: voci soavi su cocci funk, una melodia sognante che eleva oltre le cime dei grattacieli di New York, dove Nas e questo disco sono nati e cresciuti. Da allora Nas e il rap di strada ne hanno fatta, ma entrambi restano indissolubilmente legati a questo album. Nas perché con esso piombò al centro dell’arena hip-hop, il rap perché “Illmatic” è uno dei dischi che ne ha dettato il senso di marcia.

Dicevamo di “It Ain’t Hard to Tell”. La produzione, la base su cui Nas fa scivolare le rime, è un impasto con frammenti di Kool and the Gang, del Michael Jackson di “Human Nature” e altri ancora. È la rivelazione di una delle magie del rap: la capacità dei produttori/dj di riassemblare pezzi di altre canzoni per costruirne di nuove. Un riciclo creativo e funzionale che ha scatenato stuoli di appassionati alla ricerca delle fonti, delle origini di quei campionamenti. Questa però è un’altra strada, che ci porterebbe lontano.

“Illmatic” fila tutto così, con produzioni in cui non un singolo battito viene lasciato al caso. Tutto concorre a restituirci luoghi e atmosfere attorno a cui questo disco si sviluppa: New York, il ghetto, la strada. In altre parole, la culla dell’hip-hop.. E se “strada” è la parola chiave per esplorare l’intero lavoro, allora aggiungiamo che l’album fa da mappa per orientarsi fra alcuni dei migliori produttori del giro, in particolare quelli dal tocco più jazzato. Pezzi grossi come DJ Premier (del celebrato duo Gang Starr, produrrà anche “Back to Basics” di Christina Aguilera), Pete Rock, Large Professor e Q-Tip, che è anche membro degli A Tribe Called Quest - per tratteggiare un senso di comunità.

Il finale è dedicato a chi “Illmatic” lo firma, ossia Nas. Figlio d’arte, suo padre è Olu Dara, musicista jazz autore pure di un cammeo nel disco, il titolo di poeta per lui non è attribuzione esagerata. Certo, un poeta da inserire nel suo contesto, fra miserie del ghetto e violenze gangsta, ma senza dubbio una figura di classe, calata perfettamente nel ruolo e in grado di portarti con sé nella narrazione perché quelle ambientazioni le incarna. Non sei tenuto a capirle tutte, ma le sue rime, messe lì con scansioni millimetriche e la facilità con cui si respira, ti arrivano dritte addosso restituendoti quel mondo anche se non l’hai mai vissuto. È interprete più di uno spirito che di una maschera.

Anche oggi, che il rap è diventato genere di massa, Nas ha mantenuto intatta la sua credibilità e raccoglie successi senza essersi mai dovuto vendere all’ingrosso. Non per niente, a distanza di tre decenni da questo disco, rimane fonte di ispirazione per chi vuole farsi strada nel rap. E quella strada Nas la conosce bene.

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